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“I think every year could be my last,” Davide Rebellin says about his cycling career, but the 44-year-old believes he’s getting stronger with age

Italian veteran Davide Rebellin (CCC Sprandi Polkowice) says he may race on past his 45th birthday, claiming he’s getting stronger with age.
The 44-year-old, one of only two riders to win all three Ardennes Classics in the same year, has enjoyed something of a renaissance in recent years, although the records show that he’s never really stopped winning.
Rebellin has recorded a win every year (except 2010, when he was banned) since 1995, with a stage – and almost the overall win – at the Tour of Turkey in 2015, along with the Coppa Ugo Agostoni in the autumn.
A ninth-place finish at the Dubai Tour shows he’s still in fine form in his 45th year and he hopes to record yet more wins this year.

“The team will race where they are invited. At the moment we will go to the Tirreno-Adriatico, [Milan-] San Remo and other Classics. That’s where I want to be strong,” Rebellin toldMARCA.

“Last year we won and I think I can do it again because I feel good, motivated and strong. I want to record new victories.”

Rebellin says he will not attempt to qualify for the Italian team for the Olympic Games in Rio, with Vincenzo Nibali and Fabio Aru likely to lead the team.
“This year I will not go to the Games. They are a very important event for the sport but [the race] is jinxed for me because when Samuel [Sanchez] won gold [in 2008] I was very fast in the sprint,” he added, failing to mention that he was subsequently stripped of his silver medal after failing a drugs test.
But how old is too old for a professional cyclist? Chris Horner has just found a new team at the age of 44, but Rebellin – just two months older than the American – believes he could ride on into 2017.

“I do not know when to hang up the bike,” he said. “Every year I think it could be the last, and we’ll see.”

dal sito Crampi Sportivi

I ciclisti non portano in faccia le età di mezzo. I loro volti si segnano e si sciupano tutti in un momento, in una salita, dopo una vittoria o una sconfitta, durante una cronometro.

Così Gian Luca Favetto attaccava nel 2006 il suo “Contro il tempo”, riflessione appassionata su strade, biciclette e rughe. I ciclisti hanno volti che non dipendono dagli anni, incalzava lo scrittore. Perché al culmine dello sforzo la matricola è indistinguibile dal veterano, il ragazzino identico all’uomo maturo. Tutti trasfigurati, tutti subitamente coetanei. Più che in altri sport, nel ciclismo l’esperienza è un valore assoluto, l’invecchiare un costante migliorarsi, il tempo un concetto relativo. Non è raro che un professionista ottenga i risultati più consistenti della sua carriera dopo i trent’anni.

Poi, in un momento qualsiasi tra i 34 e i 38 anni, anche i ciclisti si arrendono. Sebbene i loro volti continuino a non dipendere dagli anni, le loro gambe appaiono finalmente consumate, i loro animi fatalmente pacificati. Non proprio tutti, però. Davide Rebellincompirà 45 anni il prossimo agosto ed ha appena rinnovato per un’altra stagione il contratto con la CCC Sprandi Polkowice, la squadra polacca in cui corre da tre anni.
Mentre l’altro highlander Jens Voigt, coetaneo di Rebellin, è sceso di bici alla fine del 2014 e oggi dichiara che “il ciclismo non ha più bisogno di un vecchio come me”, Davide è convinto che, tutto sommato, qualcosa da dare al ciclismo lui ce l’abbia ancora. E che, soprattutto, il ciclismo possa ancora dare molto a lui.
Quando gli abbiamo chiesto di rispondere ad alcune nostre domande, Davide ci ha detto subito di sì. “Mi piace il vostro stile, apprezzo molto l’orientamento verso la sensibilità dell’uomo prima ancora che quella dell’atleta”, ci ha scritto, pochi minuti dopo essersi tuffato nel freddo del mar Mediterraneo d’autunno, a due passi dalla sua casa di Montecarlo.

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Ciao, Davide, e grazie per la disponibilità. Innanzitutto, hai notizie di Lex Nederlof? Noi non siamo riusciti a recuperare agenzie fresche sull’olandese, classe ’66, e non sappiamo se nel 2016 continuerà a correre pure lui: dovesse decidere di ritirarsi, tu diventerai ufficialmente il più anziano ciclista con licenza UCI.

Mi spiace, Leonardo, ma non conosco Lex e non so proprio come aiutarvi per avere qualche sua notizia!

Tornando a te, c’è stato un momento preciso in cui hai deciso che avresti continuato a faticare per un altro anno?

A dire il vero, un momento preciso non c’è stato. Avevo espresso a mia moglie in alcuni momenti la possibilità di smettere, ma in realtà non ci ho mai creduto molto (sorride). Ho sempre sentito una “chiamata” nel cuore che mi incitava forte a continuare e a credere nelle mie capacità, aldilà dell’anagrafe.

Qual è stata la reazione di Françoise, tua moglie, alla notizia?

Mia moglie non è stata sorpresa da questa decisione, anzi sarebbe stata sorpresa se avessi smesso. Mi conosce bene, spesso meglio di me, e ha rispettato la mia decisione facendosi coraggio, perché per lei questo è un sacrificio. Ma lo fa molto volentieri.

La prossima sarà la tua 24a stagione da professionista, comincerai la preparazione proprio in questi giorni. Sei conosciuto da sempre per la tua estrema metodicità e per la tua totale dedizione: com’è cambiato, nel tempo, il tuo modo di allenarti?  

La mia preparazione non ha avuto sostanziali cambiamenti, cerco comunque di lavorare bene, in bici e palestra, sulla forza e sull’esplosività, visto che con gli anni si tende a perderle un po’.

Quanto pesa, ad un’età in cui la maggior parte degli sportivi di successo si gode casa e famiglia, ripetere la stessa routine di sempre, fare le stesse rinunce che facevi quando avevi 25 anni in meno?

Se ho deciso di continuare a correre è anche perché non mi pesa fare questa vita. Non è un sacrificio, mi sembra di averla fatta dalla nascita. Fa talmente parte di me che è diventata la mia normalità.

Veniamo al punto: noi vogliamo cercare di capire nel profondo il perché della tua scelta. Ora, io ho provato a fare tre ipotesi, a cercare di capire perché mai un uomo della tua età e con la tua storia possa decidere di andare ancora avanti. Te le elenco una alla volta.

Va bene.

Ipotesi 1: il tuo è il tipico caso di atleta che ha paura di quello che sarà la sua vita dopo la fine della carriera sportiva, e allora tenta di prolungarla il più possibile, correndo l’inevitabile rischio di sembrare quasi patetico, e di offuscare l’immagine vincente che si era costruito in un passato ormai lontano. Questo però non è il tuo caso. Hai dimostrato di essere ancora assolutamente competitivo: nella stagione appena conclusa hai vinto la Coppa Agostoni e  un mare di piazzamenti. Ipotesi 1 scartata, quindi.

Sì, scartata.

Ipotesi 2: sei un esempio di campione che decide di “svernare” all’estero per strappare un ultimo contratto remunerativo e godersi palcoscenici emergenti e ricchissimi. Nemmeno questo è però il tuo caso: corri per una squadra polacca, fatichi come nelle squadre più importanti, non ti ricoprono certo d’oro e per di più non puoi nemmeno partecipare alle corse principali del calendario internazionale. Direi che possiamo scartare anche l’ipotesi 2.

Direi di sì.

Ipotesi 3: corri per dimostrare qualcosa di extra-sportivo, nell’attesa di una redenzione definitiva dopo i fatti di Pechino. Questa opzione poteva avere un senso fino all’aprile scorso, quando sei stato assolto da tutte le accuse di doping: tu stesso l’hai definita “la vittoria più importante della mia carriera”. Ecco, dopo questa enorme soddisfazione personale avresti potuto tranquillamente smettere. E invece no, crolla anche l’ipotesi 3.

Bene, a questo punto tocca a te illustrarci l’ipotesi numero 4, che evidentemente è quella che conosci solo tu, unica risposta possibile al perché della tua scelta.

L’unica ragione per la quale continuo è la pura passione per la bicicletta, che aumenta anziché diminuire, che continua a darmi la forza, che lascia al cuore l’ultima parola. Il punto è che non ho più paura di niente, tantomeno di quello che sarà della mia vita dopo il ciclismo. Inoltre, voglio dimostrare che l’età non è un limite. Certo, è essenziale mantenere la forma fisica, ma tutto dipende dalla mente. I risultati si ottengono grazie alla disciplina, alla volontà, alla fede e all’amore per il proprio lavoro. Dove sta scritto che un atleta di più di 40 anni non può rendere? In più, lo faccio per i tifosi: in tantissimi mi mandano continui messaggi di stima, mi spingono a gareggiare. Provo per tutti loro un grande senso di gratitudine.

 

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Nel documentario L’Ultimo Chilometro, dici di essere cambiato, negli ultimi tempi: “Il vecchio Davide era solo bicicletta”. Adesso parli invece di “prospettiva nuova”, sostieni di amarti di più, e tua moglie Françoise sembra averti dato una spinta fondamentale verso questo cambiamento. Hai raccontato che, prima delle corse, lei non ti dice “Vai e vinci” ma “Vai e sii felice”: cosa rappresenta Françoise per te? Il nuovo Davide, invece, chi è?

Quando ho conosciuto Françoise ero un uomo a metà. Lei mi ha aperto il suo cuore e mi ha spinto a credere di più in me stesso. Pensavo di essere capace solo di pedalare, ma il suo amore mi ha trasformato e mi ha permesso di scoprire l’uomo che sono, e che non conoscevo neanche. Mi ha trasmesso l’importanza di seguire la felicità e concentrarsi sulle cose belle, senza perdere tempo ed energia per il resto. Il nuovo Davide quindi non è più insicuro, ma fiducioso, concentrato sulle cose che ama. È questo che mi spinge.

Ti abbiamo conosciuto come persona estremamente riservata, ma da qualche tempo sei molto attivo sul tuo profilo Facebook. In particolare, spesso pubblichi foto e ricette delle tue colazioni, rigorosamente vegane: leggendo il tuo diario, per esempio, io ho letto per la prima volta dell’esistenza della farina di lupini. È davvero buona come dici?

La farina di lupini è ottima! Ha il 40% di proteine ed è molto gustosa. Comunque, anche l’essere più attivo su Facebook è merito di mia moglie, le ricette fanno parte della sua fantasia. Dosa gli ingredienti un po’ a caso, ma conosce le proprietà di ciascuno di essi: sono mirati a darmi la giusta energia. E ogni ricetta è diversa dall’altra!

Inoltre da quello che scrivi e pubblichi online emerge chiaramente un approccio nuovo ed estremamente sereno verso il tuo mestiere: le foto di te che ti fermi durante gli allenamenti per godere del paesaggio dicono molto di cosa sia per te il ciclismo oggi.

Sì, mi piace molto godere di tutto quello che vedo e incontro per strada, dai tifosi, che spesso mi affiancano, fino alla natura, che mi meraviglia sempre di più. Per esempio, sulle colline intorno a Montecarlo c’è una volpe che ha dell’incredibile: la incontro tutte le volte che pedalo da quelle parti, si fa avvicinare e fotografare. L’ho chiamataFox.

Sei noto come “il chierichetto”, perché da piccolo servivi la messa. Ci vai ancora in chiesa? Che ruolo ha avuto la fede nella tua storia sportiva e personale?

Ti confesso che non ho mai fatto il chierichetto, in realtà! Dicevano questo di me fin da giovane perché frequentavo molto la chiesa, era un luogo dove mi sentivo bene e sentivo il bisogno di andarci. In generale, la fede ha avuto un ruolo fondamentale nella mia vicenda, non mi ha mai lasciato e ho sempre creduto nella giustizia divina: anche questo mi ha aiutato a non crollare. Da quando ho conosciuto mia moglie, però, sento meno la necessità di andare in chiesa, perché ho trovato la pace nella famiglia e dentro di me.

Sei passato professionista nel 1992, insieme a Marco Pantani; il prossimo anno sarà il ventennale della tua vittoria di tappa (con maglia rosa) al Giro d’Italia; sono passati dodici anni dall’incredibile primavera del 2004, quella della tua tripletta Amstel-Freccia-Liegi: ricordo la prima pagina della Gazzetta, con il titolo a caratteri cubitali: “Trebellin”. Insomma, tu sei uno dei pochi che può, con cognizione di causa, dire di aver vissuto due – forse tre – epoche diverse di ciclismo professionistico, con in mezzo il periodo più nero di tutta la sua storia. Com’è cambiato il tuo sport in questo quarto di secolo?

Rispetto a 20 anni fa sono cambiate alcune cose, soprattutto la tecnologia. Abbiamo mezzi più performanti, bici leggere, ruote scorrevoli e rigide, tanta aerodinamica. Anche il modo di correre è un po’ cambiato: ora dal chilometro zero è subito battaglia, mentre prima si partiva più tranquillamente. Inoltre, con l’introduzione delle radioline si è guadagnato in sicurezza, ma si è perso in fantasia: essendo pilotati dall’ammiraglia, a volte si perde l’istinto di attaccare o di fare la corsa a modo proprio.

Condividi l’impressione che il ciclismo sia oggi uno sport più credibile, di cui potersi fidare, nonostante i terribili tradimenti del passato?

Sì, penso che ora il ciclismo sia uno sport credibile e pulito, è lo sport più controllato che ci sia. E sono convinto che rimarrà sempre molto amato. Me ne accorgo pedalando in allenamento: i gruppi di cicloamatori sono sempre più numerosi.

Nella lettera che hai scritto dopo la notizia della tua assoluzione, insieme a tanto orgoglio c’era anche una punta di amarezza. Dicevi: “Ma ora chi mi ridà quel che mi è stato tolto?”. C’è qualcosa che ritieni di dover ancora ricevere dal mondo del ciclismo?

Dopo la mia sospensione son ripartito da zero. A differenza di altri, ho avuto porte in faccia da tutti, sono ripartito da piccole squadre e non ho più potuto correre le gare a cui tengo di più. Questa è la ferita più grande. Ma sono ancora qui a gareggiare, con il doppio della motivazione e della determinazione: la ferita di ieri è la forza di oggi. Quindi non parlerei di amarezza, in fondo. La considero un’esperienza di vita che mi ha permesso di evolvere e di tirar fuori il meglio di me.

Cosa farà Davide Rebellin quando – un giorno molto lontano – deciderà di scendere dalla bicicletta?

Scendere dalla bici? Mai! (sorride). Per quando deciderò di non gareggiare più, però, ho già qualche bel progetto, sempre legato alla bici. Per esempio, sto organizzando degli stage per ciclisti amatoriali: abbiamo iniziato con uno stage a fine ottobre in Toscana, ed è stato un bel successo. Il prossimo sarà a fine novembre. Sono stage dove porto tutta la mia esperienza, e provo a trasmettere l’importanza di concentrarsi sempre sulla gioia che si prova pedalando, non sulla fatica.

Tuo papà Gedeone ti mise in sella che eri ancora molto piccolo. A 10 anni arrivasti terzo nelle prime tre gare disputate, e lui ricorda la tua disperazione ogni volta che non riuscivi a vincere. Ti arrabbi ancora tanto, fino a piangere, quando vieni battuto?

Mi arrabbio ancora molto quando sbaglio qualcosa nella conduzione della gara, non si finisce mai di imparare nel ciclismo. Ma non mi metto più a piangere (sorride), anzi cerco di trarre insegnamenti dagli errori fatti e aggiungerli al mio bagaglio di esperienza.

Alla fine l’hai fatto un conto preciso dei chilometri che hai percorso in bici nella tua carriera?

Allora, calcola che mediamente da quando sono professionista faccio 35.000 km l’anno, poi devi aggiungerne altri 100.000 tra i dilettanti, senza contare le categorie giovanili. Non so di preciso, ma di sicuro ho pedalato per più di un milione di chilometri.

Cosa ne è stato dei tuoi sogni di bambino appena salito su una bici e subito innamorato perso della competizione?

I miei sogni di bambino, cioè diventare un professionista e vincere grandi gare, beh devo dire che si sono realizzati. Ma questo non vuol dire che sia stato tutto rose e fiori…

Potessi tornare indietro nel tempo, quindi, faresti desistere i tuoi genitori dall’idea di incoraggiare sempre e comunque quella tua passione?

No. È vero, sulla mia strada ho conosciuto fino a che punto le persone possano essere ingrate, e quanto tocchi battagliare per superare gli ostacoli e rimanere in sella. Ma c’è anche il lato positivo, e cioè che le prove della vita ti fanno crescere, ti fanno aprire gli occhi sul mondo, ti fanno concentrare sulle persone vere, sincere, belle. Per fortuna ce ne sono tante.

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Dal prossimo gennaio, quindi, Davide Rebellin sarà di nuovo in gruppo. Non sarà semplice vederlo in tv, perché probabilmente non correrà né il Giro né il Tour; forse qualche classica delle Ardenne, le sue preferite, ma non è detto. Sarà molto meno complicato, invece, trovarlo lungo le strade, dove il suo volto segnato dal tempo proverà ancora a confondersi in mezzo a quelli di colleghi che potrebbero essere suoi figli. Se lo riconoscerete, con la maglia arancione e il profilo à la Tintin, fategli un bell’applauso.

A 42 ans, Davide Rebellin poursuit sa carrière en toute discrétion chez les Polonais de CCC Polsat. L’Italien se présentera à l’Amstel Gold Race avec de sérieuses ambitions.

Davide Rebellin en octobre 2013 au départ de Paris-Bourges (L’Equipe)

Davide Rebellin en octobre 2013 au départ de Paris-Bourges (L'Equipe)

A une époque, il était surnommé ‘’l’enfant de choeur’’. Pour sa foi revendiquée, pour sa discrétion témoignant d’une grande timidité et pour son regard si doux, plein d’humilité. En 2014, Davide Rebellin serait plutôt un moine bénédictin, par son aspect chétif (1,71 m, 63 kg), toujours austère d’apparence et dédié à sa tâche quotidienne sans orgueil, voire un moine bouddhiste avec son maillot orange vif, celui de l’équipe polonaise de Continental Pro CCC Polsat.

Davide Rebellin, un leader toujours discret (L’Equipe)

«Des fois, je me demande s’il est bien dans le bus ou même dans l’équipe» «Il est très silencieux. Il ne parle pas beaucoup. Des fois, je me demande s’il est bien dans le bus ou même dans l’équipe, raconte l’un des directeurs sportifs de l’équipe, Piotr Wadecki. Même s’il ne parle pas beaucoup, c’est un très bon exemple pour les jeunes. Il s’entraîne très dur. Quand tu t’assoies avec lui à table, il est discret, tranquille. Sa vie tourne autour du vélo 24 heures sur 24. Il ne fait pas sentir que c’était une star.» Oui une star, car ce coureur né en 1971 s’est construit un palmarès incroyable une fois passée la trentaine : trois victoires à la Flèche Wallonne (2004, 2007 et 2009) et surtout un triplé exceptionnel dans les classiques ardennaises en 2004.
 
Trois coureurs de la génération 1971 sont encore des protagonistes du peloton : Chris Horner, Jens Voigt et Davide Rebellin. Quand Rebellin est passé pro, en 1992, Lance Armstrong était inconnu en Europe, Miguel Indurain débutait son quinquennat de domination sur le Tour de France et les coureurs français étaient encore capables de gagner le Tour des Flandres et Paris-Roubaix. Vingt-deux ans plus tard, l’Italien ne pense toujours pas à la retraite, à l’image de Chris Horner et Jens Voigt, les deux autres vétérans de la génération 1971. «Je suis encore très motivé. Oui, je me fais encore plaisir, raconte-t-il. C’est un peu étrange car je ne connais presque plus personne dans le peloton. Beaucoup de jeunes coureurs viennent me demander des conseils, ils me disent que je suis leur idole. Même des collègues pro.»
Pourtant, même avec son allure monacale, on ne plus dire qu’on pourrait lui vendre le bon Dieu sans confession. Comme beaucoup de  leaders de son époque, Rebellin a été rattrapé par une affaire de dopage : contrôlé positif à l’EPO-Cera lors des JO 2008, il a été suspendu deux ans entre 2009 et 2011, sans jamais passer aux aveux. «Dans son esprit, il a quelque chose à prouver, estime Wadecki. Il veut dissiper le trouble autour de lui. Il veut montrer qu’il est encore aux affaires. Il peut continuer à gagner des courses. »

Encore un an ou deux ?

Cette année, l’Italien tourne autour de la victoire : 3e du Tour de Murcie, 3e de la première étape de la Ruta del Sol (entre Valverde, Mollema, Porte et Sanchez). Mercredi, il était encore septième de la Flèche Brabançonne, dernière répétition avant l’Amstel Gold Race (ce dimanche). « Pour moi, il peut faire podium, annonce Wadecki. Il pense à la victoire. Il est motivé, il sait qu’il peut montrer sa forme. Il va jouer son va-tout. » Mais ce ne sera pas encore son jubilé. «Les jambes tiennent, le corps tient. Je ne sais pas jusqu’où j’irai», dit-il. D’ailleurs, l’équipe CCC-Polsat a déjà envie de prolonger son contrat d’un an ou deux.

Chez Polsat (L’Equipe)

Anthony THOMAS-COMMIN / L’EQUIPE

leggi l’articolo originale su Eatsport

di Vincenzo Piccirillo

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Mentre Chris Froome demoliva tutti sul Ventoux e scatenava l’ira e l’invidia del mondo ciclistico per la sua superiorità, Davide Rebellin (CCC) ha continuato ad allungare il suo interminabile ed incredibile palmares. Come gli capita ormai dal 2011 salvo le eccezioni della Tre Valli Varesine e del Trofeo Melinda, si tratta di corse sconosciute ai più ma che dimostrano ancora una volta la voglia, la professionalità e la serietà di un atleta che in poco tempo è passato dai duelli con Cancellara, Valverde e Bettini a cercare gloria in corse senza tradizione e in paesi del terzo mondo ciclistico.

La firma con la CCC, vista la licenza Professional della squadra polacca faceva presagire ad un ritorno del tre volte vincitore della Freccia su palcoscenici più importanti, e così è stato nella prima parte di stagione con Giro del Mediterraneo, Vuelta a Murcia e Coppi e Bartali, invece ancora una volta quando la stagione è entrata nel vivo, Rebellin è stato costretto salvo rare eccezioni come il Giro del Trentino, lo Ster Zlm Toer dove nell’unica tappa adatta alle sue caratteristiche è stato battuto solo da Boom e il campionato italiano dove è salito sul podio ma aveva nelle gambe la possibilità di vincere, a restare a  guardare e a misurarsi in competizioni minori in Polonia, Estonia e Romania dove ad un corridore col suo passato potessero mancare le motivazioni ha sempre corso per vincere, anche a dispetto di tante disavventure tecniche e organizzative a cui non era certo abituato e che più di una volta gli hanno impedito di fare bottino pieno.

In Polonia, alla Szlakiem Grodow Piastowskich ha fatto sue due tappe davanti al compagno di squadra Marek Rutkiewicz e al ceco Alois Kankovski ed ha chiuso secondo in classifica generale a soli 12” da Jan Barta (NetApp) che ha approfittato di una crono per avere la meglio, in Romania invece ha imposto la sua legge, quella del più forte, al Sibiu Cycling Tour breve corsa a tappe con 5 frazioni in 4 giorni. Dopo aver limitato i danni, nel prologo iniziale di 2400, dove ha chiuso 11° e concesso 6” al vincitore Maros Kovácn (Dukla Trencin) che ha preceduto l’Androni Omar Bertazzo, ha sbaragliato la concorrenza nella tappa regina della corsa, quella con arrivo ai 2040 metri  di Balea Lac, dove al termine di un’interminabile ascesa di oltre 30 km ha staccato negli ultimi metri il norvegese Frederik Wilmann (Christina Watches), che al traguardo ha pagato un distacco di 4”, mentre il terzo classificato, il croato Matija Kvasina (Team Gourmetfein) ha pagato 24”, oltre alla vittoria di tappa per Rebellin è arrivata anche la maglia gialla di leader della classifica, maglia che non ha più svestito fino alla fine della corsa. Davide ha iniziato ad incrementare il proprio vantaggio in classifica già nella seconda tappa che prevedeva un nuovo arrivo in salita a Paltinis, dove dopo aver controllato gli avversari più pericolosi per la classifica si è fatto sorprendere dall’austriaco Markus Eibegger (Team Gourmetfein) che ha approfittato del poco marcamento ed è andato a vincere con 7” su Rebellin e 8” su Antonino Parrinello (Androni).

L’ultima giornata prevedeva due semitappe, una crono di 11.4 km al mattino ed una tappa in linea per velocisti al pomeriggio sempre a Sibiu. L’ostacolo da superare era ovviamente la crono dove si è imposto il tedesco Stefan Schumacher (Christina Watches), ma Davide si è difeso bene chiudendo nono e cedendo 30” al suo ex compagno di squadra ma facendo meglio dei rivali per la classifica generale. L’ultima frazione dove Davide ha sempre controllato senza affanni ha visto un nuovo successo italiano con Mattia Gavazzi (Androni) che ha battuto tutti precedendo Omar Bertazzo. Alla fine Rebellin si è imposto con 58” su Matija Kvasina e 1’21” su Tino Zaballa (Christina Watches).

Non sarà certo come vincere il Tour che si corre in questi giorni o come una Tirreno o una Parigi – Nizza, le corse a tappe più prestigiose nel palmares di Rebellin ma mettere la propria ruota davanti a tutti è sempre qualcosa d’incredibile per un corridore che a quasi 42 anni sogna come un ragazzino alle prime armi di poter competere nuovamente nelle grandi classiche. Età, passato e squadra non sono dalla sua ma per una persona che ha avuto la forza di riprendersi e di superare tutto quanto gli è capitato passando nel giro di pochi giorni da essere un esempio da seguire al peggior male dello sport italiano, forse un po’ esagerato definirlo così, ma lo shock per la sua positività a Pechino è stato un qualcosa che usciva dal mondo del ciclismo  e avendo a che fare con uno sport solitamente associato al doping, fu facilissimo per tutti dargli le colpe di tutti i mali dello sport italiano, quando invece al CONI non è che fossero dei santi e la storia e lì a parlare, ultimo il caso Schwazer. Per uno che pur di non lasciare in quel modo lo sport a cui ha dedicato la sua vita ed è ripartito dal basso per ricostruirsi una credibilità, nulla sembra impossibile e poi a ben vedere visti i risultati dei nostri corridori nelle classiche non è che in giro ci sia molto di meglio di Davide Rebellin.

di Vincento Piccirillo
articolo originale su Eat Sport

Come sempre nel corso della sua carriera, Davide Rebellin ha fatto della continuità di rendimento il suo punto forte e così sta facendo anche in questo 2013 dove alla soglia dei 42 anni, riesce ancora a competere contro Valverde o Boom e a vincere con la voglia di un ragazzino in corse meno importanti. Correndo in una formazione di secondo piano, le opportunità di misurarsi sui grandi palcoscenici non sono troppe, così il campionato italiano è una delle grandi opportunità che ha per far vedere a tutti che il talento è sempre quello dei giorni migliori. Probabilmente non è il favorito numero 1 per la gara tricolore di sabato prossimo ma al netto di sfortune o inconvenienti, nel finale ci sarà anche lui a giocarsi quella maglia tricolore che non rappresenta una rivincita ma l’ennesimo sfizio da togliersi.

Quest’anno 2 vittorie di tappa allo Szlakiem Grodow Piastowskich, piccola corsa a tappe polacca e una quindicina di piazzamenti nella top 10, soddisfatto dei risultati ottenuti in questi primi mesi con la casacca della CCC?
Non posso dire di essere soddisfatto fino in fondo, visto che è dall’inizio dell’anno che incontro molti ostacoli come l’intossicazione alimentare al Mediterraneo, cadute, problemi meccanici nelle fasi finali di gara e il dovermi schierare in corse non adatte alle mie caratteristiche, come il recente Ster Zlm Toer in Olanda o il Giro dell’Estonia”.

Nonostante la corsa non fosse adattissima alle tue caratteristiche, in Olanda nella tappa più dura sei arrivato secondo mostrando una buona condizione. Cosa ti è mancato per avere la meglio su Lars Boom?
Mi è mancato soprattutto il lavoro di squadra. In quella tappa per vincere era indispensabile prendere l’ultimo strappo davanti ma da solo e con l’aiuto di un solo compagno era difficile competere contro i treni di 5-6 corridori di altre squadre, così quando è partito Boom ero un po’ indietro e non sono riuscito a rispondere bene alla sua azione”.

Siamo nella settimana dei campionati italiani con la prova in linea che è senza dubbio uno dei tuoi grandi obiettivi stagionali, come ci arrivi?
La condizione mi sembra buona, bisognerà vedere come si svolgerà la gara perché da solo non sarà facile”.

Proprio questo sarà un altro ostacolo da superare, il fatto che sarai da solo ti preoccupa?
Corro spesso da solo nelle fasi finali di gara e di certo è uno svantaggio notevole. Penso di aver perso molte opportunità di vincere a causa di questa situazione”.

Quest’anno il campionato nazionale coincide con il Trofeo Melinda, una corsa che ti ha visto protagonista negli ultimi 2 anni con la vittoria nel 2011 e il quarto posto nel 2012. Con quali ambizioni ti presenti?
L’ambizione è sempre quella di essere protagonista ma provo a non mettermi ulteriore pressione dando il meglio di me come in tutte le gare che faccio”.

Che tipo di percorso è?
La gara è molto dura e con l’aggiunta di un ulteriore giro diventerà ancora più selettiva. Ma non mi fa paura anzi… Il punto chiave? Bisognerà restare sempre vigili ma credo che gli ultimi 3 chilometri, i più impegnativi, possano essere decisivi”.

Il chilometraggio potrà favorirti?
Sono un corridore di fondo ma è da tanto tempo che non disputo gare cosi lunghe ed è questa la cosa che più mi manca”.

I tuoi favoriti?
Moser e Pelizzotti

Per vincere di cosa hai bisogno e di che tipo di corsa?
Di non aver problemi meccanici!

Davide Rebellin festeggia un successo nella stagione 2012

Davide Rebellin festeggia un successo nella stagione 2012

In carriera hai vinto tantissime grandi corse ma come mai il tuo rapporto con la prova tricolore non è mai stato dei migliori?
“Perchè non l’ho mai preparata come si deve. Venendo da un inizio di stagione incentrato sulle classiche, molte volte non lo disputavo nemmeno”.

Lo scorso anno sei arrivato quindicesimo, cosa ti mancò per fare meglio?
L’anno scorso è stata una situazione un po’ surreale. Tre giorni prima ho saputo che non potevo correre in quanto tutte le visite di idoneità le avevo fatte a Montecarlo. L’unica soluzione era di rifare tutto quanto avevo già fatto, vale a dire analisi, test, visita idoneità, ecc. , nuovamente in Italia. Così ho trascorso i 3 giorni precedenti la gara andando avanti e indietro in macchina per completare le pratiche, non potendomi allenare e riposare al meglio, sono arrivato alla gara stressato, non allenato e con poco riposo”.

Dopo le polemiche che hanno accolto il tuo rientro in gruppo e le norme federali che ti impedivano di fare il campionato italiano cosa rappresenterebbe per te questa maglia tricolore?
Quando credi in quello che fai e sei determinato puoi affrontare e superare tutti gli ostacoli, quindi questa maglia sarebbe una bella soddisfazione personale che non ho mai avuto in carriera”.

Il tuo futuro in bici dipende anche da questa gara?
Non direi, ci sono altri appuntamenti e situazioni da valutare”.

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Ormai siamo per tutti lo sport dei drogati, la feccia di questa società. Sei un ciclista? Sei un dopato. Correre in bicicletta, è sempre stata la mia passione, da quando sono un ragazzino ho dedicato la mia vita alla realizzazione di un sogno, correre il Giro d’Italia. Avevo 15 anni quando il sabato sera me ne tornavo a casa fregandomene degli sberleffi dei miei coetanei che, rincasando alle 9 di sera mi consideravano un mezzo rincoglionito. Avevo 16 anni quando nel branco ero l’unico che si rifiutava di prendere una sigaretta in bocca perchè non era quella che mi faceva diventare grande, avevo 18 anni quando allo sballo del vino facile e abbondante preferivo un bicchiere di spuma al cedro. Avevo 21 anni quando il mio sogno si è avverato e 35 quando mi sono reso conto che era meglio cambiar mestiere. Non è passato giorno che non abbia pensato alla mia professione che poi era anche la mia passione. Andare a letto alle 10 non è mai stato un sacrificio e non mi sentivo ferito neanche quando qualche idiota a bordo strada mi prendeva per il culo solo perchè ero l’ultimo, a mezzora dal primo. Ho gioito come un bambino tutte le volte che ho dedicato gambe e cuore ad un compagno di squadra più forte di me, ho toccato il cielo con un dito quelle poche volte che sono riuscito a vincere una corsa e ho pianto dal dolore non so quante volte quando, insanguinato e ferito, riprendevo la mia bicicletta per andare insieme all’ arrivo. Ho trascurato la mia famiglia, assecondato il mio istinto, seguito il mio cuore. Ho macinato 800.000 km, scalato salite impossibili. Ho lottato contro la neve della marmolada, combattuto l’afa sull’ Aubisque. Ho cercato sempre di portare la bicicletta all’arrivo e mi sono sempre sentito un eroe anche se per la maggior parte della gente ero un mezzo corridore. Da corridore non mi è mai importato niente del giudizio altrui perchè ero in armonia con me stesso. Come sono in armonia ora nonostante il mio sport sia trattato come il peggiore di tutti. I corridori? Delle merde di uomini che son capaci solo di doparsi. Che poi siano capaci di correre sotto la neve o con 40 gradi nessuno lo dice. Che il 50% di loro guadagni 40.000 lordi cioè 1 euro a km (un prof può arrivare a percorrere 40000 km in un anno) non frega niente a nessuno e che l’unico loro pensiero sia quello di aiutare un proprio compagno di squadra dimostrando una generosità che non è più di questo mondo, una dote che mai viene sottolineata.
No, siamo un branco di drogati. Punto e basta. Poi viene fuori l’operacion Puerto. 500 sportivi coinvolti, 250 sacche di sangue in frigorifero. Dal 2006 solo il nome di qualche ciclista è saltato fuori. Italiani, tedeschi, colombiani ma soprattutto solo ciclisti. Fuentes dice che è disposto a collegare i codici ai nomi ma nessuno gli chiede nulla. Il file del pc non viene toccato per il diritto alla privacy. Fuente dice che se parla salta lo sport in Spagna e per essere tranquilli qualcuno pensa bene di lasciare le sacche di sangue fuori dal figorifero cosi, essendo danneggiate, non servono più a nulla. Il presidente di una squadra di calcio accusa il suo predecessore dicendo che ha pagato a Fuentes centinaia di migliaia di euro. Notizia che va a finire nelle brevi. Esce il nome di una squadra di calcio italiana ma subito a dire che è il nome di un corridore (ovvio) dell’ est. Su un numero imprecisato di sacche c’era scritto “campionato d’Europa” e da quel che so io nel ciclismo non c’è tale manifestazione, nel calcio si. Fuentes dice di aver curato anche tennisti, calciatori, atleti dell’atletica leggera ecc ecc ma i nomi che vengono fuori di chi sono? Solo ciclisti. La wada si è presentata ai mondiali di calcio del 2006 ma sono stati rimandati a casa e nessuno ha mai detto nulla. Facile essere forti con i deboli e deboli con i forti. Cipollini era dopato? Non lo so, lo scopriremo ma vorrei sapere chi erano gli altri sportivi che tenevano sacche di sangue in quel frigorifero e soprattutto perchè io che sono un ciclista sono un dopato e tutti gli altri sono dei santi. Ma davvero pensate che il doping sia un problema solo del ciclismo? Ma se sono tra i pochi che accettano passaporto biologico, esami del sangue, reperibilità obbligatoria, perchè gli altri rifiutano tutto questo?

un racconto autobiografico di Davide Cassani, dal sito www.davidecassani.it

Potevano essere quasi le 5  di mattina del primo settembre 1968, una domenica che segnerà per sempre la mia vita.
“Babbo ma Gimondi vince oggi”? E’ stata questa la prima domanda a mio padre in quel tragitto di 15 km che divideva Solarolo dal circuito iridato. Di lavoro fa il camionista, abitiamo in una vecchia casa di campagna a due passi dal centro, il paese è piccolo, non ci sono fabbriche, neanche  zone artigianali e per smistare il poco traffico non servono neanche semafori. I carabinieri ci sono perché li ho visti ma il vigile urbano no. So leggere e scrivere avendo già passato a pieni voti la prima elementare. Per andare a scuola non ci sono scuolabus e neanche il servizio navetta familiare. Con mio fratello di 4 anni più vecchio, l’unico mezzo sono le nostre gambe. Per far prima si taglia per i campi fino a casa dei miei nonni e, passando per la strada provinciale, si arriva nel corso principale lungo ben 150 metri. Ancora un breve tratto di strada e la scuola te la ritrovi davanti. E’ la più grande che conosco, ben 10 aule. Anche il campanile di San Mauro, la mia parrocchia, è il più alto, addirittura  30 metri… forse meno… e Felice Gimondi il mio campione preferito. Non so bene cosa faccia, ma io lo adoro perché mio babbo parla sempre di lui. A dir il vero so che corre in bici ma non ho ben chiaro cosa voglia dire.
“Bambini, domani andiamo a vedere Gimondi al campionato del mondo” disse mio padre a me e mio fratello. Non sono mai stato a Imola cioè non sono mai stato da nessuna parte e quando saliamo sulla 600, non sto nella pelle. Anche mio padre è felice e non perché andiamo a Imola, lui ha visto il mondo, fa il camionista, ma perché il ciclismo è la sua grande passione quindi anche la mia. Per essere sinceri oltre a Gimondi faccio il tifo anche per Pascutti e Bulgarelli ma loro non possono correre il mondiale, giocano nel Bologna la squadra del cuore di  mio padre, quindi la mia.
Sui tre Monti, il circuito iridato, ci piazziamo quasi in cima alla salita e quando passano la prima volta i corridori mi attacco ai pantaloni di mio padre continuando  a chiedergli: dov’è Gimondi? Impiegai 3 giri per riconoscerlo ma da quel momento divenne il mio idolo incontrastato. E’ alto, con due gambe lunghissime,  i gomiti piegati ed i capelli tutti tirati indietro. E’ serio, sembra quasi arrabbiato e continua a guardarsi attorno. Forse più che arrabbiato, preoccupato perché davanti a tutti c’è un gruppetto di corridori che stanno scappando.

Quel giorno decisi che da grande avrei fatto il corridore in bicicletta e non ho mai più cambiato idea.
Mio padre è ricco, pensavo questo perché in casa abbiamo anche la televisione ma non riesco a capire il motivo per cui non c’è neanche una bicicletta da corsa. Ma non sono preoccupato perché nel frattempo ho cominciato a giocare a calcio. Mio babbo mi dice che un bambino non può fare le corse mentre a pallone può giocare.
Un bel giorno, finalmente, entra in casa lei. Ho 12 anni, sono un bravo calciatore ma sempre con quel sogno di diventare come Gimondi. E’ grigia, con il cambio Campagnolo, i freni Universal, la sella nera in plastica con 3 fori centrali, ben 2 moltipliche e 5 ingranaggi dietro, il manubrio basso. E’ una Valla, bellissima. Non è la mia ma di Fabio, mio fratello. Babbo gli ha dato il permesso di cominciare a correre perché ha l’età per farlo, 15 anni. Avrei pagato chissà cosa per essere il padrone di quella bici ma dovevo aspettare. Quando mio fratello non era a casa la prendevo e, seduto sul cannone, partivo. Non andavo troppo lontano ma mi dava talmente tanta gioia pedalarci sopra che riportarla  in cantina mi faceva stare male. E’ velocissima, leggera, silenziosa. Impiego un po’ di tempo nel mettere le scarpe dentro il fermapiede ma poi, sempre sui pedali, (alla sella non ci arrivo) pedalo talmente forte da sentire lo stomaco rivoltarsi dallo sforzo.

Ho sempre  12  anni quando,  Il parroco di San Mauro, la mia parrocchia,  ci porta sul circuito dei 3 monti in bicicletta. Diventerà  la giornata più bella dell’anno, almeno per me. Essendo festa nazionale, Don Pierino, non deve lavorare cioè servire messa e organizza una gita per tutti i ragazzini. Lui con la perpetua in auto, noi piccoli in bicicletta. Tutti insieme fino all’incrocio con la Via Emilia poi via libera fino alla chiesa di Berghullo dove ci si ferma a fare il pic nic tutta la giornata. La notte prima non riesco neanche a prendere sonno dall’ emozione. Ero la felicità fatta persona. La mia bici  non ha il manubrio basso ma mi sento un corridore lo stesso perché la mia maglia è come quella dei professionisti, con le tasche dietro, piene di zucchero in zollette e marmellatine di mele cotogne. La sede di arrivo, Bergullo, è proprio sul circuito del mondiale che io conosco già. Mentre gli altri ragazzini restano li a giocare io me ne vado in giro in bicicletta. So che andando verso sinistra posso arrivare a Ghiandolino, il punto più alto del circuito ma non pensavo fosse cosi dura la salita. Mi sembra un muro e non riuscendo a salire dritto per dritto adotto il sistema a bisciolina (lo chiamavo cosi) per riuscire a non mettere il piede a terra. Mi sento forte, libero, felice e la stanchezza non la sento proprio. Sono sempre più convinto di fare il corridore da grande anche se giocare a  calcio mi piace un sacco. Dal Solarolo calcio mi cedono al Castelbolognese. Sono una punta, faccio tanti goal ma il mio nuovo allenatore, Zanetti, non mi fa giocare sempre. Quando invece inforco quella Valla grigia che nel frattempo è diventata la mia (mio fratello dopo una corsa ha chiuso) nessuno mi ordina  di restare in panchina, il posto più triste del campo sportivo, soprattutto per un ragazzino.  Dentro di me quel desiderio da bambino non è mai sparito e una domenica mattina di novembre del 1974 mollo la borsa del Castelbolognese Calcio e chiedo a mio padre di tesserarmi per l’ AS Solarolese dove c’è anche un mio amico che corre da un paio d’anni: Davide De Palma. Comincio gli allenamenti, mi diverto, non ho l’assillo della panchina ma la libertà di decidere che strade scegliere, quali montagne scalare, con chi andare ad allenarmi, con un unico chiodo fisso, realizzare il mio sogno,  correre un campionato del mondo.
Ho 15 anni il giorno della mia prima gara. E’ il circuito di Roncadello, in provincia di Forlì. Ho il terrore di non riuscire a stare in gruppo. Di km ne ho fatti tanti ma gare mai. Il mio direttore sportivo si chiama Ernesto Montevecchi che di lavoro fa il cantiniere. L’ammiraglia è la sua macchina, una 128 con il portabiciclette sopra. E’ lui che mi indica cosa fare, come allenarmi, cosa mangiare e come correre. Mi consiglia anche di leggere un libro: “Prendi la bicicletta e vai” di Ambrosini  la bibbia, a suo dire. Mi consiglia di stare poco in piedi, di usare rapporti leggeri, di andare a letto presto la sera e di segnare su un diario tutto quello che faccio. Trova anche le parole per dirmi un’altra cosa fondamentale per diventare un corridore, stare lontano dalle donne e…non fare niente neanche da soli, insomma niente sesso con o senza una donna.
Non vedo l’ora che arrivi il sabato pomeriggio per pensare alla gara del giorno dopo. Pulisco la bicicletta, lo shampoo per il telaio e la nafta per la catena usando le calzette di mia madre per  farla tornare bella splendente senza quei pelucchi che uno straccio qualsiasi può lasciare. Due gocce  d’ olio sulla catena e via sulla strada a provare i rapporti. Poi  a letto con un cuscino sotto i piedi perché il mio direttore sportivo mi aveva detto che le gambe devono stare alte altrimenti si gonfiano.
Non vinco neanche una corsa, ma il 7° posto nella Modena-Pavullo e soprattutto il 3° nella Coppa Giulianini a Villafranca di Forli rimangono le perle di una bella stagione. Mi piace davvero tanto correre in bici. Mio padre è contento della mia scelta di correre in bicicletta ma non lo dimostra. Tipo silenzioso, forse per questo ha scelto di fare il camionista, di fatto il padre ideale. Lui sta zitto ma basta guardarlo negli occhi per capire quanto gli piace vedere il proprio figlio correre. Il primo anno  non è mai venuto a vedere una corsa, il secondo invece si. Il terzo non ne ha persa una.  Il più bel regalo che mi ha fatto è stata  la bicicletta nuova per il 1977.

Ho 16 anni.Mi porta a Faenza nella bottega di Vito Ortelli. Le sue bici sono dei gioielli, fatte su misure. Io sapevo chi era Vito perché a Faenza era famosissimo avendo battuto in carriera anche Fausto Coppi. Quando entro la prima volta nel suo negozio rimango a bocca aperta. Lui mi squadra, mi chiede se voglio correre in bicicletta ma io rispondo che già lo faccio. Mi prende le misure e quando finisce dice a mio padre che tempo un mese la bicicletta sarà pronta. Costava 330.000 Lire, una follia. Quando la portai a casa la misi in sala, la guardavo, la sollevavo, non sembrava neanche vera. In quegli anni di Vito Ortelli diventai amico. Andavo li, in bottega, ascoltavo le storie di quando lui era professionista, di cosa faceva, come si allenava, di quando in un giro di toscana mangiò 25 uova o di quella volta che in pista riuscì a battere Fausto Coppi o quando, da allievo, conquistò il tricolore e tante tante altre avventure. Sto li ore senza neanche accorgermi del tempo che passa. Lui lavora, io guardo, lui parla io sogno. Io sono un ragazzino qualunque di 16 anni, lui Vito Ortelli.
Ho 17 anni, i racconti di Ortelli,  anche se ripetuti, non mi stancavo mai di ascoltarli.  Un giorno è mia madre ad andare da lui per chiedergli un favore, convincermi a smettere di correre.  Vito non riuscì a convincermi perché non ci provò nemmeno.
“Mamma, io voglio fare il corridore, tu non puoi impedirmelo. E’ mia la vita, e ne faccio quel che voglio, tu vuoi che diventi ragioniere? Ti prometto che non mollerò la scuola ma non puoi tarparmi le ali, non puoi spegnere i miei sogni, non puoi decidere quel che devo fare da grande perchè quella decisione l ho gìa presa io, non tu. La convinsi.
Ho 17 anni ma  le idee molto chiare. So che non sarà  facile passare professionista ma la cosa non mi interessa molto. Mi piace vivere il presente e non  preoccuparmi del futuro. Ho una passione che mi riempie le giornate, come quella del 1978 quando sono andato sul Monte Trebbio per vedere l’arrivo di una tappa del Giro d’Italia. Gimondi è sempre al primo posto ma ormai non è più lui il capitano della Bianchi. La maglia rosa ce l’ha un suo compagno di squadra, Johan De Muynck. La strada è invasa dalle biciclette, sono partito da Solarolo in bici, circa 40 km per vedere il Giro. Quel giorno scalai quella salita tre volte. Salivo, scendevo, salivo, mi fermavo, salutavo amici, scendevo,ascoltavo la radio, sbirciavo per capire chi ci fosse dentro alle auto che precedevano la corsa. Trovo una sistemazione a circa 500 metri dall’arrivo, nel tratto più duro. I corridori li conosco quasi tutti perché alla tv non perdo una tappa. Ora poi con la televisione a colori, è  spettacolo puro.
Eccoli. Arrivano. In testa passa Crepaldi, mi sembra vecchio, pedala male con una smorfia sul viso che mette in mostra una fatica sovrumana. Non ce la fa più, lo incito anch’io ma ad un certo punto si blocca in mezzo alla strada, non va più avanti, vede l’ arrivo ma è troppo lontano e Bellini molto vicino. Sempre di più.  lo supera cosi come  Bortolotto e Chinetti. I miei occhi sono solo per Crepaldi ma poi, dietro, vedo sbucare lui. La maglia celeste,  i capelli tirati indietro, la schiena piegata più del solito,  il viso scavato, la testa bassa e gli occhi a cercare il traguardo nascosto dall’ultima curva. “Alè Gimondi, dai Felice”.

Erano passati  10 anni dalla prima volta che lo vidi.  Era uguale. O forse ero io che non avevo ancora cancellato quella figura che, in quella domenica di inizio settembre del 1968, segnò per sempre la mia vita.

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Moi drodzy, szykuję się całkiem niezła dawka historii kolarstwa.  Ostatni kilometr (L’Ultimo Chilometro| The Last Kilometer) to film ukazujący czym jest pasja, emocje, sport: kolarstwo. Prezentuje historię „starego Davida Rebellna (CCC Polsat), 41 letniego kolarza walczącego w peletonie, wielokrotny zwycięzca, jak i ofiara skandalów, oraz ” młodego” Ignazio Mosera, obiecującego 20 letniego syna słynnego Francesco Mosera. Słynny włoski dziennikarz Gianni Mura, korespondent Tour de France z 1967, pomaga odkryć czym kolarstwo było kiedyś, a czym stało się teraz. Sportem zamieszanym w skandale dopingowym, pełnym pasji, walki, bogaty we wspaniałą historię.

Na koniec dodatkowo pojawia się Dititer „Didi” Senft, znany jako El Diablo, superfan, o nie samowitej pasji, pasji na granicy szaleństwa. Pięknym podsumowaniem czym jest kolarstwo, padło z ust Didi: „Kolarstwo to najmniej a tym samym ważna rzecz na świecie. „

Ostatni Kilometr na zdecydowanie film pokazujący czym naprawdę jest Kolarstwo. Więcej na stronie thelastkilometer.com

Reżyseria: Paolo Casalis
Muzyka: Mario Poletti (Lou Dalfin)
Występują: Davide Rebellin, Ignazio Moser, Gianni Mura, El Diablo
oraz: Francesco Moser, Cadel Evans, Françoise, Gedeone Rebellin, Marco MIlesi

da Ciclismoweb.net
di Silvia Tomasoni

“Qui in Slovacchia abbiamo vinto la prima tappa con Enrico Rossi, quindi non si poteva iniziare meglio. La seconda tappa è la più dura e allora cercherò di fare la corsa e di vincere. Faremo il possibile!” Detto, fatto! Davide Rebellin la seconda tappa del Giro di Slovacchia è riuscito a vincerla sul serio. Per questo “ragazzino” quasi quarantunenne (li compirà il prossimo 9 agosto) si tratta del primo successo in una stagione iniziata tardi ma già prodiga di risultati, con una seconda piazza al Giro di Grecia, poi un quarto posto al Trofeo Melinda vinto l’anno scorso e “scappato via”, quest’anno, per un soffio. E poco importa se i primi classificati in Trentino, Carlos Alberto Betancur Gomez e Moreno Moser, in due hanno praticamente la sua età.“Sento che posso dare ancora molto e vincere delle gare. E’ per questo che continuo a correre, anche perchè percepisco di potermi gestire al meglio. L’età per me non è un problema, non è un handicap anzi…con più esperienza so come affrontare le gare. E’ tutto un vantaggio!”

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L’esperienza a Rebellin non manca di certo, come non gli manca la voglia di mettersi in gioco ogni giorno, in ogni corsa. Come ci racconta lui stesso, con la voce pacata e gentile di sempre, soppesando ogni parola, scandendo ogni sillaba… e parla del suo ritorno al Melinda “E’ stata, comunque, una buona gara. Molto positiva. Non ero nelle condizioni dell’anno scorso…l’anno scorso il Melinda si era corso nel mese di agosto, quest’anno prima e avevo fatto solo una gara, sentivo che mi mancava un po’ il ritmo della corsa…le variazioni di ritmo, quelle che ti servono soprattutto nel finale per fare lo scatto, la volata. Però, nonostante tutto, ho ottenuto un buon quarto posto e sono contento!”
Ha cambiato casacca Davide Rebellin, non lo spirito “Ci sono stati dei problemi di registrazione della vecchia squadra, la Miche, problemi di affiliazione e, ad un certo punto, abbiamo pensato di prendere un’altra strada. Abbiamo parlato con Guerciotti e c’era questa possibilità di venire alla Meridiana, così abbiamo fatto questo sposalizio. I Guerciotti li conosco bene, hanno una grande passione! E’ già qualche anno che collaboro con loro ed è un piacere averli ancora al mio fianco!”
Questi mesi passati lontani dalle gare come sono stati? Come li hai vissuti? “Allenamenti, soprattutto…poi non c’è solo la vita da ciclista! Comunque mi sono sempre allenato come se dovessi correre ad inizio stagione. A febbraio ero pronto per fare risultati, per vincere. Mi sono allenato simulando anche delle gare, altrimenti non sarei ora in una buona condizione, dovrei ancora aspettare per riuscire a trovarla”
Nel periodo di stop l’idea di smettere, di dire basta, non ti ha mai sfiorato?  “Questo no, per ora no. Anche perchè sento di poter fare ancora qualcosa di buono. Mi mancano ancora altre gare da vincere, non è ancora il momento di smettere e credo di poter andare avanti per un altro anno o due. Arriverà il giorno in cui smetterò ma, per ora, il mio posto è in bici!”
Una volta terminato il Giro di Slovacchia quali saranno i tuoi obiettivi? “L’obiettivo principale sarà il Campionato Italiano e cercare di vincerlo. Poi tutte le gare del calendario italiano che ancora mancano. Corriamo spesso in Italia e ci sono delle corse che vorrei cercare di vincere”
A proposito di Campionato Italiano, si correrà in Trentino in Valsugana, lo senti adatto alle tue caratteristiche? “Si, sembra un percorso duro e quindi ci sarà una selezione naturale…per me va bene!”
Si è paventata la possibilità di una tua partecipazione anche alla prova contro il tempo… “Ma, è difficile. Stiamo valutando, però credo che sia difficile…perchè il giorno dopo una gara su strada, dopo 250 chilometri, non è semplice fare una cronometro a tutta. Comunque vedremo, gli allenatori ci tengono, però ancora non so. Il mio scopo sarà far bene nella prova in linea”
Il 2012 è anche l’anno delle Olimpiadi, dopo Pechino, un pensierino ai Cinque Cerchi l’hai fatto? “Le Olimpiadi penso siano una storia chiusa. E’ una manifestazione molto bella, importante ma per me oramai è una faccenda chiusa. Il Mondiale, quello si che mi mancherebbe. Per me è la gara più bella e mi piacerebbe eccome poterlo correre”
A 41 anni hai ancora un sogno nel cassetto? “Certo. Più di uno. Ciclisticamente parlando, cercare di vincere ancora una bella gara. Una Classica, perchè no il Campionato Italiano o, comunque, una corsa importante. Poi vedremo quando smetterò di correre cosa farò, anche se credo di restare nell’ambiente”
Ma il segreto per arrivare a quarant’anni in forma come te ce lo puoi rivelare? “Avere una vita ricca. Per me è naturale fare una vita regolata, non è un peso. Andare in bicicletta è un divertimento e anche quando avrò smesso di correre ci andrò, visto che amo questo sport. Mi fa stare bene e sono sempre alla ricerca di nuove sfide, di nuove emozioni…poi la rabbia che si è accumulata in questi ultimi anni mi spinge a rendere ancora di più!”