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Today we were at the Col du Galibier, where everything is ready (or going to be ready) for the Giro d’Italia 2013.

A poco più di un mese dal passaggio del Giro d’Italia, si liberano le strade da metri e metri di neve (con i mezzi e con eplosioni di cariche di dinamite). Oggi eravamo lì, a documentare tutto con foto e video per conto di www.giro2013galibier.fr. Se durante la tappa la Rai manderà in onda immagini di quando sul colle c’erano metri di neve e nessuno scommetteva un penny sul passaggio dei corridori, sappiate che le ha realizzate Stuffilm Creativeye – www.stuffilm.com

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Didi Senft, El Diablo

Posted: February 7, 2013 in Uncategorized
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Didi Senft, El Diablo

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Tour de France / Sestriere

Posted: January 26, 2013 in Uncategorized
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Charly Gaul
Photo by Carlo Sandri
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Tour de France 1956 - Arrigo Padovan

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Tour de France 1956 - Raphael Geminiani

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Tour de France 1956

Posted: January 26, 2013 in Uncategorized
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Tour de France 1956

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I miei anni con Armstrong,  brutta favola del ciclismo 

di Gianni Mura, dal sito www.repubblica.it

Sette Tour de France sprecati a raccontare le gesta di un bugiardo che aveva ingannato tutti, o quasi tutti. Pareva una bella storia, non una favola: quelle nel ciclismo non esistono di GIANNI MURA

IN UN POSTO che continuava a sembrarmi finto, Le Puy du Fou, nel luglio del ’99 mi appoggiavo idealmente alla canna della bici numero 181, quella di Armstrong. Tutti gli altri li avrebbe vinti col numero 1. Era un Tour senza Pantani e senza Ullrich. Armstrong ci arrivava dopo due quarti posti ai mondiali, linea e crono. E un quarto alla Vuelta.

Si conoscevano i suoi propositi, ma tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare. Proprio il mare, che rende scivoloso d’alghe la stradella del Gois, fa cadere Zuelle ed è alleato di Armstrong. Nella crono di Metz cade e si ritira Julich, altro rivale di Armstrong che domina anche sulle Alpi. Tutto facile. Per me Armstrong era entrato in un cono di luce a Limoges, quando vinse e indicò il cielo per ricordare Casartelli.
È difficile rievocare quegli anni al Tour oggi, sotto un’altra luce che è quella della confessione (parziale), del crollo. Allora, almeno all’inizio, era una bella storia, forte, dura, non proprio una favola. Bisogna stare sempre attenti alla favole, nel ciclismo: Cappuccetto Rosso ha le siringhe nel cestino, la nonna spaccia e il Lupo è già cattivo di suo.
Ma una storia è una storia. Quella di un ragazzo che fin da bambino ha imparato da sua madre a essere un “guerriero della vita”. Che vince un mondiale nella bufera. Che corre solo di muscoli, cervello poco. Un torello da gare in linea. Si ripresenta cambiato nel fisico e nella testa. Parla anche in un altro modo. Giù dal podio di Parigi ringrazierà il cancroche ha fatto di lui un altro atleta ma soprattutto un altro uomo, migliore. I sospetti, quelli non sono mai mancati. Una pomata fuorilegge a Pau: “Sono un perseguitato”.
Attorno al capo c’è uno sbarramento sempre più robusto. Il più ciarliero dell’Us Postal è il cuoco, uno svizzero che si chiama Willi Balmat (“Con una nonna di Trastevere, cognome Di Rienzo”). Ad Armstrong piacciono gli spaghetti aglio e olio (peperoncino no), l’omelette (“Un rosso d’uovo e tre bianchi”), il risotto allo zafferano. Poi, le minacce di morte, le guardie del corpo, l’albergo come un fortino.
Si gira la Francia, ovviamente. Armstrong non è molto popolare, col passare del tempo. Solo Schumacher e Anelka risultano più antipatici, in un sondaggio. Ci si interroga anche tra noi in sala-stampa, o a cena. Tu ci credi? A me non piace, ma finché i controlli sono negativi ha ragione lui. Sì, perché usa qualcosa che gli altri non hanno, una cosa sperimentale, non si può avere quella cadenza di pedalate in salita, non è umano.
È umanamente strano, questo si può dire. Nel 2000 Pantani e Ullrich ci sono. In cima al Ventoux battuto dal vento sono in due, Armstrong e Pantani. Vince Pantadattilo e Armstrong dice che l’ha lasciato vincere. Pantani non gradisce e vuole fargli pagare l’omaggio-affronto. Vince a Courchevel, poi cerca di far saltare il Tour e salta lui, si ritira. È strano, o quantomeno nuovo, il modo di preparare il Tour. Già LeMond, l’amico-nemico, ne aveva fatto il centro della stagione. Armstrong ne corre almeno due: uno abbondante in allenamento, poi quello vero, quello che conta.
Si raccontano episodi al limite del fachirismo: la Madeleine due volte in maggio, pochi gradi sopra lo zero, l’Alpe d’Huez otto volte. C’è qualcosa di maniacale nel suo legame col Tour, e solo col Tour. E qualcosa di oscuro nella sua forza, che è anche la debolezza della concorrenza, sul podio si avvicendano Zuelle ed Escartin, Ullrich e Beloki, Beloki e Rumsas, Ullrich e Vinokurov, Kloden e Basso, Basso e Ullrich. Il solo a poter battere Armstrong: se non ingrassasse otto o nove chili passando l’inverno a ingozzarsi di dolci, se fosse meglio guidato dalle ammiraglie, se sapesse improvvisare e bluffare come Armstrong sul Glandon.
Anche una delle cose che i ciclisti temono di più, le cadute, sembrano non accanirsi con lui. Lo risparmiano. È Beloki che si schianta verso Gap, Armstrong a ruota ha i riflessi per sterzare in un campo di grano. E quando è lui a cadere, nella tappa di Luz Ardiden, Ullrich non lo attacca, rispettando un codice non scritto. Anche Armstrong è rispettato, in gruppo. Sempre stato così, coi padroni del gruppo. Amato, no. Troppo texano, troppo rigido, troppo esigente, coi gregari ma anche con se stesso. I gregari (quelli che poi gli testimonieranno contro) per lui si butterebbero nel fuoco. Non hanno spesso via libera. Quando succede, Hincapie vince il tappone pirenaico (altri sospetti, giustamente), Savoldelli a Revel. Ma non c’è posto per capitani alternativi, manco a parlarne. Uno solo deve vincere.
Con quali aiuti chimici, adesso si sa. Ma non è vero che tutti i giornalisti del Tour suonavano il violino. David Walsh in particolare, sul Sunday Times già nel 2001 accusava Armstrong di aver usato epo alla Motorola, e nel 2003 rincarava la dose con il libro “LA confidential”, scritto con Paul Ballester. Letti, e riferito. Ho voluto bene alla storia di Armstrong, perché mi accorgevo di quante persone riuscisse a coinvolgere, di quante speranze riuscisse a dare.
Armstrong era un ragazzo che riusciva a mettersi in piazza anche nei lati più tristi, che da malato aveva paura di addormentarsi e di morire nel sonno, che a tenergli compagnia aveva un gatto rossiccio trovato per strada e ribattezzato Chemio, e del resto anche Rogge, medico, presidente del Cio, un nonno che correva con Van Houwaert, dichiarò che di cancro si guarisce, è noto, ma che la funzionalità epatica si riteneva compromessa dalla chemio, mentre Armstrong recuperava meglio di prima.
Armstrong ha assunto un’altra faccia, ai miei occhi, il giorno di Lons, quando andò ad annullare la fuga di Simeoni, “uno che faceva del male al gruppo”, per difendere il buon nome (già) del dottor Ferrari. Un gesto antisportivo, indegno, volgare, mafioso. Chi lo compie, pensai quella sera, è capace di tutto. Ma i controlli erano sempre negativi, a Kristin succedeva Cheryl, alla telefonata di Bush l’abbraccio di Robin Williams. Un americano a Parigi, remake. La mano sul cuore. Una telenovela che non è finita con la confessione pubblica e lacunosa assai: se non si eliminano gli Alti Complici, non cambierà nulla.
E per Armstrong spiegare bene le cose ai suoi figli sarà più difficile che battere Beloki. Le salite più dure non sono quelle del Tour, Armstrong se ne sarà già accorto.

Articolo di VIncenzo Piccirillo su Cicloweb.it

Passano gli anni ma lui è sempre lì. Davide Rebellin deve avere qualche pozione magica che gli consente di rimanere sempre in lotta nelle prime posizioni, qualunque sia la stagione, la corsa o gli avversari.
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A quasi 41 anni, pur lontano dal ciclismo che conta, è ancora lì a giocarsi il successo come se corresse in Coppa del Mondo o al Giro e invece siamo lontani anni luce da quelle corse. L’unica cosa che non è cambiata è la sua voglia di pedalare e vincere. La sua storia è nota a tutti e il 2008 fa da spartiacque: nell’aprile 2009, dopo aver vinto la terza Freccia Vallone della sua carriera, passa da essere considerato il modello da seguire ad appestato del ciclismo.
Per la sua positività alle Olimpiadi diventa il simbolo del male dello sport italiano, quello da non rivedere mai più in gara. Davide se ne sta in silenzio e aspetta che passino i 24 mesi della squalifica. Una squalifica che accetta pur non ammettendo le sue colpe, pur di tornare a correre.
Lo fa rientrando dalla porta di servizio, dalla Serie C del ciclismo, firmando con la Miche, squadra Continental che non viene invitata alle grandi corse. Il suo rendimento è immediatamente elevato e tocca standard che per la maggior parte dei corridori del gruppo sono utopia (circa 30 piazzamenti nei primi 10 in una quarantina di giorni di gare).
Una delle due vittorie della sua stagione arriva alla Tre Valli Varesine che assieme al Giro dell’Emilia è la corsa più importante alla quale può partecipare, l’altro successo arriva al Trofeo Melinda. Una serie di prestazioni che fanno pensare per Davide ad un ritorno nel ciclismo che conta con la concreta possibilità di passare ad una Professional.
Invece il suo è ancora un nome scomodo e, complici anche le difficoltà economiche di tante squadre, si trova costretto a restare a guardare nei primi mesi dell’anno, rientrando solo al Tour of Hellas, corso in concomitanza con il Giro d’Italia. Rientra con la Meridiana Kamen, altra squadra Continetal e quindi lontana dal grande ciclismo. Chi lo conosce è certo che si farà trovare pronto ed infatti è così.
Nella prima tappa della corsa greca termina secondo ed in quella posizione chiuderà anche la classifica finale. Sabato scorso ha corso il Trofeo Melinda dove partiva col dorsale numero 1 e nonostante i pochi giorni di gara nella gambe ha lottato fino all’ultimo per la vittoria contro corridori come Betancur o Moser, che stanno vivendo una grande stagione e di quasi 20 anni più giovani di lui. Nemmeno il tempo di rifiatare che è partito alla volta della Slovacchia per prendere parte al Tour de Slovaquie dove oggi, nella seconda tappa che si concludeva in salita in quel di Čierny Váh, è tornato a battere tutti.
Al traguardo ha preceduto Sergey Rudaskov (Itera Katusha) di 15″, Jan Hirt (Nazionale Slovacca Under 23) di 23″ e Riccardo Zoidl (RC Arbö Gourmetfein Wels) di 40″. A completare la festa in casa Meridiana la maglia gialla che Enrico Rossi è riuscito a mantenere dopo la vittoria di ieri.
Come si legge dall’ordine d’arrivo, ora Rebellin si misura con corridori di caratura inferiore a quelli a cui era abituato ma la cosa sorprendente (anche se fino ad un certo punto) è come riesca ad allenarsi ed a correre, pur sapendo che anziché andare a “combattere” contro Bettini, Boogerd, Vinokourov, Sanchez, Evans, gli Schleck, Valverde e compagnia, deve misurarsi con Robert Vrecer, Hossein Askari o Sergey Rudaskov. Per farlo bisogna essere dei campioni e nonostante tutto di Davide non si può affermare il contrario.

Vincenzo Piccirillo

It’s not so usual, to receive a postal mail directly from the Devil!Image

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L’Ultimo Chilometro è un film documentario, in uscita a fine 2012.

L’Ultimo Chilometro
1- Un chilometro all’arrivo. Il gruppo è compatto, i corridori sono un fascio di nervi tesi, tutti hanno ancora pieno diritto al sogno della vittoria.
Questo è la bicicletta, questo (e molto altro) è il suo sport, il ciclismo, metafora calzante della vita.
2- Dagli anni ’80 ad oggi il ciclismo è cambiato radicalmente.
Come dice il giornalista Gianni Mura “Se si pensa che i corridori hanno nelle orecchie una trasmittente e sono teleguidati dall’ammiraglia, si può dire che questa sia la fine dell’avventura”. E’ arrivato L’ultimo chilometro per questo affascinante sport?

Sinossi

L’Ultimo Chilometro è un racconto a tutto tondo del ciclismo attraverso 5 personaggi, 5 storie:

Ignazio Moser – figlio di Francesco. Giovane corridore carico di forze e di sogni: tra tutti la Parigi-Roubaix, la mitica corsa del nord che il padre, riferimento ma anche costante termine di paragone per Ignazio, fece sua per tre anni consecutivi.
Cadel Evans – star internazionale e primo corridore australiano a vincere il Tour de France, lo scorso anno. Nel 2012 tutti lo aspettano al varco: dal ritiro invernale di Alicante alla Grande Boucle, il film ne seguirà l’intera stagione agonistica. Saprà riconfermarsi?
Davide Rebellin – a 40 anni compiuti, lo scorso anno contro ogni previsione è tornato vittorioso. Ma dopo lo scandalo olimpico di Pechino 2008, quando fu costretto a riconsegnare la medaglia conquistata, per molti il suo nome rappresenta ancora e solo il lato oscuro del ciclismo, il doping.
Gianni Mura – il “suiveur”, giornalista di fama che da anni racconta il ciclismo attraverso le sue cronache dal Tour de France, e che dal Tour ci fornirà le chiavi di interpretazione di questo sport.
El Diablo/I tifosi – gli appassionati e i fanclub disposti a seguire il proprio idolo in capo al mondo, ad esaltarsi per le sue vittorie e a lenire le sue sconfitte. In particolare seguiremo da vicino il mitico “El Diablo”, tifoso tedesco che armato di forcone e coda da diavolo da anni segue le principali gare del calendario internazionale.

L’Ultimo Chilometro è il racconto di una stagione di corse, ma inevitabilmente diventa racconto delle nostre passioni, motivazioni, vicende, sentimenti.
Un film dal taglio internazionale, come è ormai diventato internazionale lo sport delle due ruote.
Un film per tutti coloro che una volta nella vita sono saliti su una bicicletta.